Philippe Daverio, noto critico d’arte e personaggio televisivo, in un’intervista per Traveller interrogato su quale è la città italiana nella quale non ha mai vissuto e nella quale gli piacerebbe vivere risponde che i luoghi più belli da vivere, domani, saranno i luoghi del Meridione motivando il suo consiglio, con l’affermazione: “Il paesaggio del sud è così feroce che è impossibile distruggerlo”.
Il significato che si può attribuire alla frase non è univoco, può assumere diversi significati anche in contrasto tra loro. Prendiamo la Sicilia, Leonardo Sciascia, ad esempio, ne parla come una terra “Contraddittoria ed estrema” e descrive la natura dei siciliani come formata da tante “corde”: quella “civile”, quella “seria” e quella “pazza”, a cui Sciascia dedicò un volume di saggi. Per Gesualdo Bufalino la Sicilia è divisa tra la luce e il lutto, è insieme infera e sacra, il poeta Salvatore Quasimodo, che nacque a Modica il 20 agosto 1901, la definì invece “terra impareggiabile”, una definizione che, come le altre, si presta a molteplici interpretazioni e modi di percepire l’isola.
Ognuno di noi, viaggiatore, sceglie la prospettiva che gli è più consona e da lì compone le sue idee. Proprio da quel combinarsi di opinioni, impeti del sentire, oneri di cultura scaturisce l’immagine dell’isola o dei luoghi all’interno di essa.
Qualcuno ha scritto che “Viaggiare si apparenta alle due più esclusive ed esaltanti esperienze dell’uomo: amare e creare. Saper viaggiare è una cosa creativa quanto una seduzione d’amore, una bella pittura, una frase musicale assoluta … Se ogni viaggio significa una scommessa di conoscenza e di felicità il Viaggio in Sicilia è un esame senza confronto: è l’Esame”.
Per i viaggiatori dell’ultimo Settecento, epoca nella quale era quasi d’obbligo il Grand Tour tanto che l’arte del viaggiare era addirittura inserita nell’ambito delle “belle arti”, il Val di Noto, l’estrema propaggine della penisola italiana, uno dei tre Valli (Val Demone, Val di Mazara, Val di Noto) nei quali venne suddivisa la Sicilia dagli Arabi e che si trova nell’estremità sud-orientale dell’isola, era soltanto uno sfondo.
Nel Settecento i viaggiatori che compivano il tradizionale viaggio in Italia e si recavano in Sicilia cercavano i resti materiali e l’ispirazione ideale della civiltà classica, romana ma, soprattutto, greca, davano la caccia al frammento archeologico, consideravano la Sicilia un territorio dell’anima, un itinerario intellettuale ed emotivo.
L’architettura e le testimonianze artistiche coeve apparivano loro inconcluse, incongruenti e decisamente brutte. (Il diplomatico francese Dominique Denon, diarista del Voyage del Saint-Non, trovandosi a passare da Noto mentre si recava a Cava D’Ispica scrive: “Si rimpiange qui, come a Catania, che una spesa tanto considerevole e dei materiali così magnifici come quelli che si trovano, vi siano stati impiegati con tanto poco gusto e che una città completamente nuova sia costruita come una vera offesa all’arte.”)
Dopo il terremoto dell’11 gennaio 1693, che colpì tutta la Sicilia sud-orientale le città vennero ricostruite, nello stesso sito o altrove, con una robusta fisionomia barocca e, sembrerà strano, proprio per questo motivo vennero censurate a partire da Noto che, tante volte, viene omessa nelle cronache dei viaggi o addirittura, di tanto in tanto, viene citata come una vera e propria offesa all’arte.
L’area dominata dai Monti Iblei non attirava i viaggiatori settecenteschi e ottocenteschi non soltanto perché costituiva, all’epoca, un percorso malagevole che li conduceva verso la Valle dei Templi, ma anche per altri motivi di tipo pratico: l’assenza di locande, il ricorrere, inusuale altrove, di malattie infettive, le febbri malariche intorno alle paludi, il pericolo di bande di maleintenzionati.
Un egittologo berlinese giunto a Modica nel 1832 scriveva che: “Modica con i suoi 19.000 abitanti e come capitale di tutto il Val di Noto, non possiede veramente una locanda, ce ne rendemmo conto facendo una passeggiata per la città. In un caffé trovammo parecchi cittadini perbene che, all’istante, si misero a conversare con noi e ci assicurarono che la posizione strana della città porta in essa pochi forestieri, sicché sarebbe impensabile la conduzione di un solo albergo. E poiché non vi è nemmeno lontanamente una strada che conduca in questo luogo, esso non possiede conducenti di muli e i buoni modicani vivono in una vera e propria segregazione cinese”.
Oggi lo scenario è decisamente cambiato, la premessa non voleva dissuadere gli appassionati dei moderni Grand Tour a visitare le città del Val di Noto e Modica di cui ci stiamo occupando, tutt’altro.
Modica ha infatti riscoperto la vocazione di centralità che ebbe, politicamente e amministrativamente, nei secoli passati di “Capoluogo” della Contea degli Enriquez-Cabrera, un potente feudo che viene citato dalle fonti documentarie come “Regnum in Regno”, “Stato nello Stato” a sottolineare quanto i Conti di Modica per autorità, ricchezza e magnificenza non fossero inferiori agli stessi sovrani del Regno delle due Sicilie.
La città, negli ultimi anni, si propone come luogo di grande vitalità ed è partecipe di un vero e proprio exploit che tocca la dimensione turistica con una vera propria cura e attenzione per quelle che sono le esigenze di quanti, deliberatamente o fortuitamente, visitano la città; investe il settore commerciale con lo sviluppo del quartiere di Modica Sorda, e, soprattutto, interessa l’artigianato e la gastronomia locale: Modica è ricca di taverne, locande (nella attuale evoluzione in B&B), cioccolaterie. Una città che vuole stare al passo anche nella proposta di iniziative di alto spessore culturale.
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