Il santuario di Santa Maria delle Grazie fu costruito per onorare la “Madonna di la grazia” in seguito al prodigioso ritrovamento nel 1615 di un’immagine cnquecentesca della Madonna con Bambino dipinta su una lastra di ardesia. I documenti riferiscono essere stato costruito “con le proprie mani” dall’entusiasmo corale del popolo per tale ritrovamento e dalla gratitudine al simulacro per la liberazione dalle terribili pestilenze del 1626 prima e del 1709 dopo. Su santuario venne progettata una chiesa dall’architetto siracusano Vincenzo Mirabella della quale rimane il portale. Ques’ultimo, con timpano spezzato è intensamente decorato nella trabeazione con teste di angeli. All’interno, ai lati del portale d’ingresso, si trovano due monumenti funebri seicenteschi in marmi mischi uno dei quali custodisce le spoglie del progettista. Il prospetto attuale, quello da riferire alla ricostruzione settecentesca e della quale è stato realizzato soltanto il primo ordine, si impone per il disegno vigoroso con quattro robuste colonne libere fortemente rastremate e concluse da capitelli corinzi.
Il grande arco d’ingresso, nel partito centrale convesso, è strombato, due putti si affacciano da due mensole. La cornice del portale è arricchita, per quasi tutta la sua altezza, da festoni laterali che discendono da due ampie conchiglie fra spirali disposte sugli angoli superiori del portale. All’interno dello scudo, posto sopra la chiave d’arco del portale si trova lo stemma della città di Modica (Torre merlata a tre ordini decrescenti con aperture). L’interno è a tre navate separate da pilastri. Sul lato destro della chiesa è presente un portale murato che presenta un disegno classicistico: si tratta del portale laterale della precedente chiesa progettatta dall’architetto Mirabella. Sulla stessa parete si trova anche una epigrafe poggiante sullo stemma della città: l’iscrizione fa riferimento alla pestilenza del 1709, fugata dalla Patrona Civitatis.
Annesso al Santuario della Madonna delle Grazie si trova l’ex Convento dei Padri Mercedari, adibito a Lazzaretto durante la peste del 1709. Attualmente il Palazzo dei Mercedari è la sede del Museo delle Arti e Tradizioni Popolari. Realizzato dall’Associazione Culturale Serafino Amabile Guastella, il museo è uno dei più importanti della regione. Aperto nel 1978 dopo un paziente lavoro di ricerca nel territorio per l’aquisizione di attrezzi agricoli, arredi, utensili, suppellettili e prodotti dell’artigianato locale costituisce una testimonianza documentaria della vita rurale e paesana.
L’area interessata dall’attività di raccolta e documentazione è quella della provincia iblea e, in particolare, delle contrade modicane, così ricche di tradizione e cultura tanto da suggerire allo storico Pitrè l’espressione “isola etnografica”. La sistemazione materiale occupa 15 ambienti e affronta diverse tematiche: da quella fondamentale della masseria – che non è soltanto la sede del nucleo familiare, residente stabilmente in campagna, ma il cuore economico della vita rurale – al lavoro agricolo e alle attività artigianali.
La Masseria era una casa di campagna caratterizzata da un bagghiu (atrio), la carrittaria, il luogo dove sostavano i carretti, a stadda, ossia la stalla, a casa ri mannara cioè la cucina rustica, a casa ri stari cioè l’ambiente da abitare e a stanza ro travagghiu per i lavori di tessitura. La masseria è distinguibile nel territorio ibleo per le singolari strutture architerttoniche evidenziate dalla presenza dei muri a secco. All’interno del museo, oltre alla ricostuzione della masseria, sono state ricostruite numerose botteghe artigiane
La Dolceria: ambiente di lavoro della tradizione dolciaria modicana con l’intero repertorio di formelle per la realizzazione di dolci a testimonianza del patrimonio di tecniche, stili e tradizioni e della funzione socio-culturale di questa forma d’arte. Il calendario delle feste paesane era segnato dalla preparazione di alcuni tipi di dolci che vengono, tutt’oggi, preparati in casa.
La Bottega del Cannizzaro documenta la lavorazione della canna per ricavarne contenitori, graticci, gerle e panieri. La Bottega del Carradore è un ambiente particolare per la funzione assegnata, nell’ambito della storia della cultura materiale, al carretto, strumento di lavoro e, insieme, prodotto dell’arte popolare. La costruzione del carretto richiedeva l’arte e la perizia di varie categorie di artigiani. Il primo a lavorare il carretto era il carradore.
Dalla sua bottega il carretto passava a quella del fabbro e quidi alla famosa bottega dei decoratori che, con pitture e sculture raffiguranti santi e paladini, hanno fatto diventare il carretto un emblema della cultura popolare. Sono proposte all’interno del Museo delle Arti e Tradizioni popolari anche la Bottega del Fabbro, la Bottega del Sellaio, la Bottega del Falegname Ebanista. Gli schizzi, i grafici, i disegni e i progetti delle opere da realizzare, documentati nella ricostruzione dell’ambiente di lavoro del falegname, consentono di leggere il campionario della bottega e la diversità sociale della committenza.
Infine la Bottega del Lattoniere che contiene oliere, colini, imbuti, secchi e una ricca serie di oggetti di uso domestico prodotti dal lattoniere, detto comunemente stagnino. Un mestiere che si tramandava, come molti, di padre in figlio.
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